
Il diritto all’assegno divorzile: la Cassazione valorizza i sacrifici familiari
Con l’ordinanza n. 9887 del 15 aprile 2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema centrale nel diritto di famiglia: l’attribuzione dell’assegno divorzile.
Al centro della vicenda, una donna che, per seguire le esigenze professionali del marito e prendersi cura della famiglia, ha messo da parte le proprie aspirazioni lavorative. La decisione dei giudici rappresenta un ulteriore passo verso una concezione più equa e attenta alle dinamiche familiari all’interno delle cause di separazione e divorzio.
Una scelta di vita che ha un costo
La vicenda coinvolge una coppia, la cui relazione, durata circa dieci anni, è stata caratterizzata dalla nascita di due figli e da un significativo sacrificio compiuto dalla donna. Quando il marito ha ricevuto una proposta di trasferimento a Roma, la moglie ha accettato di seguirlo, rinunciando non solo alla propria rete sociale e lavorativa, ma anche a concrete opportunità di crescita professionale. Per garantire stabilità e cura ai figli, ha scelto un impiego part-time, una decisione che ha inevitabilmente segnato in negativo il suo percorso lavorativo.
Nel frattempo, la carriera del marito ha registrato un’evoluzione importante. Questo squilibrio, manifestatosi negli anni, è stato ritenuto dai giudici elemento centrale nella valutazione della richiesta di assegno divorzile.
La nuova prospettiva giurisprudenziale: non solo assistenza, ma compensazione
La Corte di Cassazione ha confermato l’assegno stabilito in secondo grado, pari a 600 euro mensili, riconoscendo che l’impoverimento professionale subito dalla donna non può essere considerato una mera conseguenza della fine del matrimonio, ma è frutto di una scelta condivisa e funzionale alla vita familiare.
La pronuncia si colloca nel solco della più recente giurisprudenza che ha superato l’ormai superata concezione dell’assegno come strumento per mantenere il “tenore di vita” goduto in costanza di matrimonio. Oggi, il criterio guida è triplice: assistenza, compensazione e perequazione.
In altri termini, l’assegno divorzile deve tenere conto:
- dell’impossibilità del coniuge economicamente più debole di garantirsi un’autosufficienza adeguata,
- del contributo, anche indiretto, offerto all’altro coniuge e alla famiglia,
- e dell’esigenza di riequilibrare situazioni di disparità generate da scelte condivise, ma con effetti economici diseguali.
Un riconoscimento del lavoro invisibile
La decisione della Cassazione assume un valore emblematico: riafferma il principio secondo cui il lavoro domestico, spesso non retribuito né formalmente riconosciuto, costituisce un apporto reale e determinante al benessere familiare e al successo professionale dell’altro coniuge.
In questa prospettiva, la giurisprudenza si fa interprete di un cambiamento culturale che riconosce dignità al lavoro di cura, collocandolo al centro delle dinamiche redistributive post-matrimoniali.
Conclusione
L’ordinanza n. 9887/2025 della Suprema Corte segna un ulteriore avanzamento verso un diritto di famiglia più equo e attento alle realtà complesse delle relazioni coniugali. La centralità della figura del coniuge che ha sacrificato la propria autonomia lavorativa per dedicarsi alla famiglia impone, anche in sede di divorzio, un bilanciamento che tenga conto non solo della situazione economica presente, ma della storia condivisa, delle scelte comuni e delle rinunce individuali. Una giustizia, dunque, che guarda oltre i numeri e riconosce il valore, troppo spesso invisibile, del lavoro familiare.
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